Flauti bansuri di diverse dimensioni e tonalità (articolo scritto per l'Istituto di Cultura per l'Oriente e l'Occidente - ICOO informa 2020 n°6 - www.icooitalia.it)

Rendi dolce la mia vita
Proprio come da un vaśī
Attraverso i pori del mio essere
Soffia il tuo rāga profondo!
(Sumitrānandan Pant)

Fig. 2 - scultura in altorilievo con una coppia di musici fastosamente ornati, con flauto e tamburo, sulla facciata del tempio di Hoysaleshvara in KarnatakaIl flauto classico indiano, traverso di bambù, possiede diversi nomi a seconda delle regioni e delle epoche. Il più  noto e attuale è surī.  Più  antico è vaśa o vaṃśī, usato ancora oggi soprattutto in lingua bengali con la  pronuncia bāśī, e preferito nel presente articolo.i
 Il flauto vaśa è dai tempi vedici lo strumento a fiato per eccellenza e attraverso due millenni ha grande importanza nei principali trattati     sulle arti  drammatiche e musicali.ii Vi sono meravigliose sculture dell’antichità e soprattutto nei templi medievali a testimonianza della sua centralità nella musica  antica, ruolo che pare subire un accantonamento nella scena della musica d’arte in epoche successive, portando taluni a dimenticarne l’illustre passato e  affermare che diverrà strumento ‘colto’ soltanto dal secolo XX.
Se l’uso strumentale può aver subito un’inflessione dopo il secolo XIII, l’immaginario del flauto di Kṛṣṇa invece non conosce soluzione di continuità nelle  liriche dei generi Dhrupād, Khāyāl e Thumrī, e di importanti stili regionali di musica devozionale, affondando le sue radici nella letteratura sacra, nella  poesia mistica e nel teatro classico e religioso.

Nel secolo scorso, idealmente recuperato dall’ambito devozionale e popolare, peraltro di una ricchezza musicale inimmaginabile, il
vaśī ha conosciuto   nuova vitalità e diffusione nella musica classica e nel panorama mondiale grazie soprattutto a grandi maestri quali Pandit Pannalal Ghosh, a cui si deve lo sviluppo di flauti dal tono grave, e Pandit Hariprasad Chaurasia.
Rappresentazioni astoriche caratterizzano il vaśī forse per la sua stessa natura, invariata nei millenni anche da un punto di vista organologico, emblematica del richiamo a una dimensione atemporale, intima e concreta di nostalgia, pace e dolcezza incondizionate care al pastore come all’eremita. Proviamo ad analizzarne alcuni risvolti attraverso il linguaggio.

Il termine vaśa, 'canna di bambù, spina dorsale, famiglia o liniaggio’, richiama il termine aśa, ‘porzione’. La canna genera sé stessa in sezioni, e da uno di tali internodi si ottiene il flauto, al quale possiamo ben attribuire, in quanto strumento musicale, la proprietà di estensione del corpo umano; è consolidata altresì l’idea che lo strumento rappresenti una immagine speculare del corpo, pratibimbaiii.Fig.-3.JPG

Ninfa intenta a suonare il vāṁśī. Rilievo della facciata del Tempio di Surya (sec. XIII). Konarak, Orissa. Foto di Igor orifici 


A questo proposito è importante notare come il vaśī utilizzi i registri grave mediano e acuto, analogamente alla voce umana, e come tutta la tradizione musicale indiana faccia riferimento proprio al modello vocale, elencando una serie di qualità ideali, pressoché identiche per il canto e per il flauto. I tre registri sono concepiti come un ‘cerchio’ senza interruzioni (Akhaamaala), vibrazione che permea ogni cosa (a-u-). La nota è indicata dal termine svara, una delle cui accezioni è soffio vitale. Svara, ‘ciò che risplende da sé’, allude anche a un carattere ‘luminoso’ del suono, così come rāga indica colore.iv
Il bel suono della voce e del flauto dev’essere tri-sthāna-śobhin:‘risplendente nei tre luoghi’ ovvero le ottave, e le analoghe parti del corpo (voce di petto, gola e testa).
Nella pratica avviene di fatto una integrazione fra corpo e strumento. Il vaśī una volta forato e intonato non può essere ulteriormente accordato, ma può, viceversa, 'accordare' e intonare chi lo suona in un processo di compensazione/auto-perfezionamento. Questo principio è stato espresso dal maestro Chaurasia durante i suoi seminari in Italia.
A questo proposito A. Schaeffner nel suo saggio Origine degli strumenti musicali ha trattato della perfettibilità di alcuni antichi strumenti a fiato, privi di tasti, dal suono mobile, variabile, e la cui struttura si completa con l’esperienza dell’interazione fra l’orecchio, il soffio e le dita; si pensi all’uso di microtoni ottenuti con l’apertura parziale dei fori e dal controllo dell’aria.
Possiamo dire quindi che strumento e corpo si integrano non soltanto divenendo porzioni di un insieme, bensì riflettendosi. Nel vaśī ha luogo una manipolazione del soffio quanto mai plastica, secondo modelli d’intonazione e stile (gusto) che il maestro trasmette in seno alla tradizione orale e che antichi trattati hanno in parte codificato.
I maestri contemporanei ne hanno formidabilmente ampliato il linguaggio espressivo, confermando e valorizzandone la antica terminologia.

Fig. 4 - Una immagine giovanile del Maestro Hariprasad Chaurasia esposta nella sua scuola ‘Vrindavan Gurukul’ di Bhubaneshwar, ripresa da Igor Orifici.

Una immagine giovanile del Maestro Hariprasad Chaurasia esposta nella sua scuola ‘Vrindavan Gurukul’ di Bhubaneshwar, ripresa da Igor Orifici.


  Il vocabolario del flauto tramandato dalla letteratura musicale descrive qualità (guna) riconducibili ad aspetti tonali, del timbro, e della forma presentando una profondità e una polisemia che abbraccia istanze musicali e linguistiche, estetiche e culturali.
Qui ricorderemo le qualità elencate nel Saṅgītaratnākara,v rilevandone alcune implicazioni pratiche:
snigdha, cremoso, olioso, viscoso, amorevole, affezionato; rakta, esperto, piacevole, dotato di colore emotivo; vyākta, aperto, manifesto; ghāna, compatto; pracura, ricco, pieno; lalita, delicato, grazioso; komala, gentile, soffice; anurāita, risonante; tristhānaka, che riempie i tre registri; śrāvaka, udibile; madhura, dolce; sāvadhāna, attento.
Quanto più queste qualità vibrano nel loro aspetto fisico-acustico, tanto più risalta la ricchezza simbolica e filosofica dello strumento, avvicinandoci agli espliciti obiettivi spirituali della musica indiana.vi Potremmo così collocare la pratica musicale (includendo l’ascolto) in una dimensione sinestetica e per così dire filosofale. Pensiamo al termine rāsa, che indica il contenuto emozionale dell’arte classica indiana, i cui significati sono ‘succo, linfa, umore, sapore’vii. Rāsika sono coloro che gustano la relazioni di amore con la Divinità, l’essenza alchemica della vita umana o spirituale, o il significato di un’opera artistica che ne evoca le verità. Evidente il nesso fra sapere e sapore, saggio è colui che assapora.
Quando il Bhāgavata Purāa narra del flauto di Kṛṣṇa, ci mostra i fori ricolmi del nettare (sudhā) delle sue labbra, che viene sorseggiato con profonda gioia e commozione dai pastori e dai vitelli, pronti a berlo porgendo le orecchie alla stregua di coppe.
figura  5 - Forme di Rādhā e Kṛṣṇa nel tempio di Shri Advaita Āchārya a Śāntipur (Nadiya, Bengala Occidentale). Foto di Floriana Asperti.

Forme di Rādhā e Kṛṣṇa nel tempio di Shri Advaita Āchārya a Śāntipur (Nadiya, Bengala Occidentale). Foto di Floriana Asperti.


Rādhā
si rivolge così all’amica Muralī , il flauto di Kṛṣṇa in persona:


Hai reso il mio cuore vuoto così come tu sei
Hai reso le mie membra leggere e asciutte come te stessa.
Mentre mi hai donato la tua eloquenza
Così che io possa cantare i nomi del Signore di Vraja
Allora perché, o Muralī,
Non mi concedi il nettare che fluisce dalla bocca di Govinda?
Grazie al tuo risuonare il mondo intero se ne abbevera
Mentre tu canti senza indugio.

(dal Padyāvalī di śrī Rupa Gosvamin)viii


Così l’insieme di attributi del flauto fa pensare alla sfera di sensazioni che un frutto maturo può dare. Gli aggettivi dolce, soffice, compatto, cremoso e colorato, o variegato (vicitra) del nostro suono, per così dire nettareo, rappresentano tre diversi oggetti dei sensi: sapore (gusto), consistenza (tatto) e colore (vista), suggerendo la sinestesia suscitata dalla ricchezza di qualità acustiche e melodiche del suono, ‘staccandoci’ da una concezione determinata e lineare della melodia, di noi stessi e della musica.


Saburer mewā phala, detto bengali che sta per ‘il dolce frutto della pazienza’ ha molto significato nell’apprendistato del vāśī, poiché proprio con la pratica comprendiamo quanto graduale e organico sia il processo con cui il soffio germoglia, sboccia e fa maturare il suono. L’etimo delle parole sanscrite phu, phua, phulla, phala, s-phurana, s-phuṭ, s-phoa, s-phurati che nascono dal fonema labiale ph- / f- indica sbocciatura, esplosione, manifestazione. In italiano ritroviamo il suono e il significato coincidente in flauto/fiato soffio, foro, fiore, frutto, s-bocciare. Anche nella prassi del flauto europeo si usa l’espressione gonfiare il suono. 
L’idea di fioritura ha particolare significato per l’ornamentazione nelle forme melodiche, ma anche per il simbolismo di matrice tantrica che considera il corpo come microcosmo, nel cui asse mediano (Suumā nāī) sbocciano i centri vitali come loti, padma cakra. È detto che tale asse sia il vaśī di Kṛṣṇaix.
La semantica del flauto confermerebbe perciò una natura organica dell’atto musicale di soffiare nel flauto, un riflesso corporeo (perfettibile, variabile, rigoglioso) del soffio vitale e una reiterazione simbolica del creato. Sphurti indica lo sbocciare del soffio vitale, come principio originario della creazione, e nel momento in cui vi si ricongiunge la coscienza individuale.x
Venendo ad alcune declinazioni pratiche, osserviamo che nell’atto di direzionare il soffio sull’orlo del foro di imboccatura vi sono variabiliFig.-6.jpg
Bozzetto per la diteggiatura del registro medio nel flauto vāṁśī, con la notazione in caratteri bengali.

dovute alla conformazione del getto d’aria e nell’inclinazione di questa rispetto all’orlo stesso, punto di spaccatura (phalati) sul filo del bambù, da cui inizia la ricerca di un suono il più possibile pulito e corposo (ghana). Man mano che si posizionano le dita sui primi fori, la compattezza del suono diventa un obbiettivo tutt’altro che scontato. 
Il termine komala,‘tenero’, che indica una sofficità del timbro, è anche apposto al nome delle note per indicarne il grado ‘bemolle’. Dato che nella prassi del flauto indiano queste si producono con il foro chiuso solo parzialmente, komāla indica concretamente il modo in cui si tasta l’aria sui fori usando la seconda falange delle dita o il polpastrello, con movimenti morbidi per arrotondare e abbellire il passaggio da una nota all’altra al fine di rendere semitoni, glissandi (mī), sfumature microtonali (śrutī) e ornamenti (alakāra quali gāmaka, murkī, kāna). Le note sbocciano teneramente una dall’altra. L’immagine del bocciolo e dello schiudersi del fiore di loto, è un emblema di tenerezza, purezza e perfezione: le descrizioni di Kṛṣṇa, Vaśīdhārī, ci parlano di occhi, mani e dita come il loto
Fig. 7 - Due flautisti dell’ensemble di musici raffigurato sulla facciata del tempio buddista di Borobudur (ca IX sec), Giava. Foto: Sergio Fiucci.

Due flautisti dell’ensemble di musici raffigurato sulla facciata del tempio buddista di Borobudur (ca IX sec), Giava. Foto: Sergio Fiucci.


Madhurya, la dolcezza, è senz’altro una delle qualità più sentite del flauto vaśī. Invocata già dai versi riportati sopra, è sinonimo di śngāra rāsa, il sentimento di dolcezza amorosa incarnato da Rādhā e Kṛṣṇa:


Il vaśī non canta altro che la dolcezza del nome di Rādhā. […]
Le dolci melodie del flauto sono la vita stessa degli abitanti di Braja. […]
(canto del mistico e poeta Bāul Pāglā Bhabā)

Un suono dolce sarà ricco di armoniche, privo di asperità e melodioso.
In quanto a raktī, il colore emotivo sorge dalla sapiente evocazione dei rāga, apprendendo da un maestro con sensibilità e devozione.
Il suono fruttifica con pazienza e costanza, nei primi mesi o anni di esercizio, ma il cammino può subito essere ricco di sorprese: gradualmente il soffio prende una forma sempre più piacevole. Il frutto diverrà corposo, morbido, dolce e succoso, colorato, delicato; sarà manifesto, udibile e risonante all’orecchio.
Se il vaśī è uno specchio della propria anima, ogni persona assimilerà ed esprimerà le qualità del suono in maniera originale, come più volte ha affermato il maestro Hariprasad Chaurasia: Udire un flauto è come vedere il volto di chi lo suona’.

In memoria del Maestro Enrico Anselmi

Igor Orifici
Fig.-8.jpg

Śrī Kṛṣṇa. Dipinto di stile Kālīghāt (Bengala Occidentale); immagine concessa dall’amico e artista tradizionale Kalam Patua.


Note:

isurī è composto da s, ‘bambù’ e sur, ‘suono, melodia’. La letteratura sanscrita elenca numerose tipologie di flauti che possono essere raccolte sotto il nome di vaśa.

ii Citiamo alcuni fra i più antichi: Nāradiya Śika di Nārada, Nāṭyaśāstra di Bhāratamuni (circa II sec a.C. - II sec. d.C ), Bhaddeśī di Matanga (circa VI-VIII secolo d.C.), il Saṅgītaratnākara di Śārṅgadeva (XIII sec. d.C.). E. Anselmi, Storia della musica indiana, Conservatorio di Musica A. Pedrollo; R. Perinu, Shape and tuning of some wind musical instruments in Scritti di musica indiana II, Orientalia Bugellae – Istituto Biellese per l’Oriente.

iii Abhinavagupta, secolo X. Troviamo nella poesia importanti esempi di personificazione del flauto: la Venu Gīta o ‘canto del flauto’ di Kṛṣṇa nel Bhāgavata Purāna, il mito di Siringa, il celebre Masnavi di Rumī. Bisognerebbe fra l’altro dire la vaṁśī in quanto sostantivo femminile: il flauto è sakhī, una amica del Dio che lo suona.

ivIl Bhaddeśī di Matanga, descrive il significato di rāga (letteralmente passione, attaccamento, colore emotivo) come ‘ciò che delizia l’ascoltatore tingendo di colore la coscienza’: la forma melodica, i cui tipi sono trasmessi nel sistema tradizionale indiano in quantità innumerevole.

vR. Sanyal, Philosophy of Music (Somaiya Publ.); R. Perinu, Scritti di musica indiana (Orientalia Bugellae).

viCi limitiamo qui ad accennare ad aspetti semantici e ad alcune declinazioni pratiche, foriere di più approfondite analisi, dal punto di vista acustico, organologico, filosofico, musicale; nel 2014 abbiamo avuto modo di avviare una prima osservazione spettrografica coordinata da Floriana Asperti (Musicologia, Città degli Studi) e Giovanni Cospito (Conservatorio G. Verdi) con la partecipazione di Roberto Perinu e Federico Sanesi (Conservatorio A. Pedrollo di Vicenza), Mujtaba Hussein e Supriyo Dutta (musicisti indiani).

vii Navarāsa, i nove rāsa o sentimenti codificati dal teatro-danza indiano classico.

viiiMia traduzione dall’edizione sanscrito-inglese The Padyavali di Gaurav Raina, Shri Haridas Shastri–Shri Gadadhara Gaurahari Press, Vrindavan.

ix Concezioni newagistiche a parte, sull’argomento abbiamo avuto riscontri in India durante conversazioni con esperti profondamente radicati nella tradizione, sia in ambito musicale che dello yoga [incontri personali con Pandit Ritwik Sanyal e con praticanti della tradizione tantrica bengalese. ndr aggiunta per il sito].

x Sphurti (gioia, euforia, sbocciatura, sfolgorio, manifestazione) è lo sbocciare del cakra sahasrāra, il ‘loto dai mille petali’ alla sommità del capo; il termine denomina anche un tipo di fioritura nel genere musicale Dhrupad; cfr R. Sanyal – R. Widdess, Dhrupad, Ashgate SOAS Musicology Series; sul carattere necessario e non solo accessorio dell’ornamento si veda L’ornamento, Ananda K. Coomaraswamy, Il grande brivido. Saggi di simbolica e arte (Adelphi) e La relazione tra rāsa e alaṁkāra. Alaṁkāra. Gamaka R. Perinu, op. cit.

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